22 aprile 2014 ~ 0 Commenti

L’ Erba voglio non cresce neppure a Careggi.

castello di carteDelorazepam, quetiapina, oxcarbazepina, litio: questi  i quattro farmaci in terapia ormai da alcuni anni in una paziente, seguita ovviamente dallo psichiatra, per una sindrome depressiva bipolare.

Cosa c’entra questo caso con le nostre erbette ? Ebbene c’entra eccome, o meglio rischiava di entrarci, perché come da letteratura, una grande percentuale di pazienti con questi problemi, circa il 30 %, chiede terapie naturali in aggiunta o in sostituzione alla loro terapia farmacologica. Circa un terzo.  Mica pochi!

Diciamo subito che mancano evidenze perché un qualche fitoterapico possa entrare nel programma terapeutico di pazienti con queste patologie. Poi è vero che non tutti i pazienti sono uguali, che ognuno può avere le proprie necessità, le proprie sfumature, i propri bisogni particolari … Ovvio.

Ma cito questo episodio fondamentalmente per due motivi, ripeto,  in assenza di letteratura che ci consenta qualche margine di manovra:

1)      la paziente in questione era in ottima forma psico-fisica, ormai stabilizzata da molto tempo, in grado di svolgere normalmente il proprio lavoro, senza alcun effetto collaterale dalla terapia, senza neppure sentirsi  psicologicamente “costretta” in una terapia farmacologica.

2)      la paziente mi è stata inviata dal collega psichiatra… perché io potessi  sostituire o integrare la terapia in atto con farmaci vegetali, ma il tutto senza un motivo oggettivo e, ripeto, in assenza di una letteratura di conforto. Anzi…

Ebbene, io, in trent’anni di lavoro in ambito fitoterapico, dico in trent’anni,  ho avuto pazienti inviati a consulenza da uno psichiatra in rarissimi casi, direi si possano contare sulle dita di una mano… In particolare quando il paziente non tollerava la terapia farmacologica per la presenza di effetti collaterali e il paziente chiedeva un’alternativa,  oppure quando la terapia non riusciva ad ottenere un risultato completo.

Ogni tanto succede che il paziente stesso venga a consulenza perché desideroso di capire se vi siano per lui stesso rimedi in grado di aiutarlo,e la richiesta è certo legittima. Anche il paziente psichiatrico complesso, magari affetto da una forma di psicosi o di depressione grave, soprattutto se in terapia con molti farmaci tra i quali neurolettici. Il timore è infatti che, pur in assenza di dati oggettivi, questi farmaci possano “intossicare”  l’organismo… Ok. Domanda legittima, anche se spesso immotivata.

Ma il caso della paziente in questione è ben diverso: innanzitutto perché si tratta di una paziente che sta bene, cioè che non ha bisogno di niente. E questa è la motivazione più superficiale e di suo sufficiente per non inviarla da nessuna parte.  Poi perché  per la patologia di cui è affetta non esistono terapie naturali, anzi, al contrario, inserire o sostituire uno dei farmaci in terapia potrebbe realmente sconvolgere l’equilibrio tanto a fatica conquistato. Non ha senso alcuno, se non quello del  rischio, sostituire ad esempio una “semplice”  benzodiazepina con un ansiolitico vegetale, diciamo per il gusto di prendere un rimedio naturale. In teoria la cosa può essere fattibile, certo, ma quando motivata e se inserita in un contesto clinico favorevole.  In un paziente con una problematica clinica del genere anche semplicemente sostituire una benzodiazepina con un fitoterapico potrebbe far crollare un castello pur ben  strutturato dal punto di vista architetturale. Sarebbe come voler sostituire una carta in un castello di carte solo per averne nel mucchio una di colore diverso. Il rischio è grosso. E in fondo a che pro ?

Quando son ben altre le patologie psichiatriche nelle quali invece per le quali invece  ci possono essere indicazioni alla fitoterapia…

Ebbene vi confesso che non è stato affatto semplice convincere la paziente che la fitoterapia non era affatto indicata nel suo caso, che non ne aveva assolutamente bisogno e che, anzi sarebbe stata assolutamente da non utilizzare. Non ci credeva. Non ci voleva credere. Assolutamente.  Anche perché glie l’aveva detto lo psichiatra !

Al che ovviamente ho scritto al collega dicendo le cose come stanno e invitando la paziente a non farsi trarre in inganno da facili soluzioni alternativa che magari su internet avesse anche potuto trovare suggerite. Un altro esempio di  “paziente alternativo”, questa volta sostenuto, da un medico “convenzionale”,  aperto all’alternativa…  anche se in buona fede certo. Classico esempio in cui non solo non serve la buona fede, ma se una fede c’è può solo fare dei danni.

Fabio Firenzuoli

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