29 ottobre 2016 ~ 0 Commenti

L’erba voglio

 

FILIX_MASRicordata da Teofrasto e da Plinio, da Dioscoride e da Galeno, ha goduto di elevata popolarità medicinale e larga fama, per poi cadere nell’oblio. Fino all’abbandono. Non a caso. Vetustà di una pianta, tradita pure dal genere maschile attribuitele dal Benigni-Capra-Cattorini, che, contro la nostra lingua, la chiama appunto “IL Felce maschio” , in onore forse di quell’attributo presente pure nel nome botanico.

La Felce maschio è stata ormai da tempo abbandonata dalla medicina per la sua tossicità non tanto per la sua inefficacia. Usata un tempo contro le infestazioni da tenia, è rimasta poi nell’uso popolare solo per confezionare materassi di “vegetale” perché utili a combattere dolori muscolari (e sembra anche l’enuresi dei bambini, in virtù di supposti poteri magici… ).

E pertanto mi ha certo stupito, meravigliato e incuriosito la richiesta di un esimio professore che, tramite una sua paziente, mi ha mandato a chiedere di cercarle la pianta, in forma di “prodotto”. Avrebbe poi pensato lui a come utilizzarlo. Prodotto che però non esiste appunto, perché la pianta non si usa più. Vetustà. La pianta esiste, non il prodotto, e non esiste da nessuna parte, neppure in una qualche farmacopea, se non appunto in quella naturale dei nostri boschi, alla quale qualche  sprovveduto o provveduto farmacista, sulla base di una provveduta o sprovveduta ricetta medica potrebbe andare ad attingere (?), curante o non curante delle conoscenze di fito-farmaco-tossicologia, nonché norme e regolamenti. Acido filicico, acido flavaspidico, albaspidina, aspidinolo, flavaspidina, filmarone, ecc. son tutte sostanze ampiamente conosciute e studiate presenti nel rizoma della pianta, di cui son note concentrazioni, attività farmacologiche e tossicologiche, comprese le dosi minime letali e tutti gli effetti collaterali a carico dei vari organi e apparati, sui quali ci sono pagine di letteratura.

Che facciamo? C’è qualche farmacista o erborista che se la sente di andar su per i boschi a farne raccolta, ripulirla, conservarla, prepararla, titolarla e produrla? C’è qualcuno invece che ancora la usa per un qualche motivo o in un qualche modalità ? Bene, se c’è batta un colpo, perché potrebbe essere lo strumento per un cambio di rotta, di indicazione terapeutica e di … genere.

Siamo aperti a tutto. Cambiamo pure genere alla pianta che da femminile può diventare anche maschile,  come al tempo del Benigni, e che magari da tossica diventa utile, per le nuove ricerche farmacologiche in corso. Oppure cambiamo genere alla medicina che pensa di diventare maschia quando afferma “L’erba voglio…” Oppure lo cambiamo alla farmacia quando pensasse di produrre una cosa che non esiste ? Oppure infine lo cambiamo finalmente  a quella paziente quando trovasse per sé finalmente il medicinale salva vita senza più sentirsi mera postina senza lettere. No problem. Io ci stò.

Fabio Firenzuoli

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